GPS e controlli sulle dichiarazioni: il caso dell’interruzione del rapporto per irregolarità contributiva

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Sempre più spesso capita che si rivolgano a noi docenti e ATA, spesso precari, lamentando di aver subito l’ingiusta decadenza dal servizio in conseguenza dell’irregolarità contributiva riscontrata dall’amministrazione scolastica. Ciò si verifica soprattutto quando il lavoratore ha prestato servizio alle dipendenze di scuole paritarie.

In sostanza succede che il lavoratore, dopo avere regolarmente prestato servizio, riceva la comunicazione di cessazione dal servizio a fronte dell’irregolarità contributiva che la scuola ha riscontrato richiedendo l’estratto contributivo all’INPS.

Come è facilmente immaginabile, una simile situazione, oltre ad essere oggettivamente fonte di discredito per il lavoratore cessato, molto spesso comporta gravi pregiudizi di natura economica per lo stesso. Ed infatti non di rado, pur di lavorare, gli aspiranti docenti ed ATA si trasferiscono in città molto distanti dai propri luoghi di origine, affrontando spese di non poco conto.

Ma è legittimo il comportamento tenuto dalle amministrazioni scolastiche?

Ad avviso di chi scrive, assolutamente no!

In merito occorre tenere ben presente che, come espressamente previsto dall’ art. 2, comma 10, lett. b), del d.l. 6 novembre 1989, n. 357, recante “Norme in materia di reclutamento del personale della scuola”, ai fini della valutazione del punteggio, l’istituzione scolastica deve avvalersi del riscontro dell’effettivo servizio prestato e non della regolarità contributiva del lavoratore. E ciò in quanto il mancato versamento contributivo non può e non deve essere imputabile al lavoratore dal momento che si tratta di obbligo che la legge pone chiaramente a carico del datore di lavoro.

Sul punto, sono moltissime le sentenze emesse dai vari Tribunali Amministrativi Regionali, e vale la pena qui richiamare la sentenza del CONSIGLIO DI STATO n° 973/2011, con la quale si è accertato che il certificato di servizio prodotto dal docente alle dipendenze di scuola paritaria, ai sensi degli artt. 2699 e 2700 cod. civ., ha valore di atto pubblico ed in quanto tale fa prova piena del rapporto di lavoro espletato. Pertanto è stato annullato l’atto con il quale l’Amministrazione scolastica aveva dichiarato la decadenza dal servizio del lavoratore con conseguente diritto al reinserimento in graduatoria ed il riconoscimento del punteggio incrementato di quello che il lavoratore avrebbe conseguito se il rapporto di lavoro alle dipendenze dell’Istituzione scolastica paritaria non fosse stato disconosciuto.

Cosa fare allora in caso di licenziamento dovuto all’irregolarità contributiva?

In caso di licenziamento per irregolarità contributiva, il lavoratore potrebbe impugnare il provvedimento proponendo ricorso chiedendo la condanna del Ministero dell’Istruzione al reinserimento del lavoratore in graduatoria e al riconoscimento del punteggio, incrementato di quello che il lavoratore avrebbe conseguito se il rapporto di lavoro alle dipendenze dell’Istituzione scolastica non fosse stato disconosciuto, oltra al risarcimento dei danni subiti. Ciò in quanto, ai fini della valutazione del servizio, l’unica circostanza decisiva è l’effettivo svolgimento del servizio valutabile per l’attribuzione del punteggio. Il mancato versamento contributivo non può costituire elemento insostituibile in mancanza del quale escludere l’attribuzione del punteggio.

Pertanto, pur essendo l’amministrazione tenuta al riscontro dell’effettivo svolgimento dei periodi di servizio svolti presso istituti scolastici paritari, detti periodi non possono non essere valutati per la sola circostanza costituita dal mancato versamento dei contributi previdenziali, perché, in tal caso verrebbe posto un ingiusto onere a carico del lavoratore (il corretto adempimento dell’obbligazione previdenziale), obbligo invece a carico del datore di lavoro (istituto paritario).

Sul punto, di recente intervenuto anche il TAR Lazio che, con la sentenza del 5 marzo 2020 così si è pronunciato: “la  prestazione previdenziale è a carico del datore di lavoro, con la conseguenza che, pur a fronte della difformità  del comportamento del ricorrente a quanto richiesto dalla normativa di riferimento (inottemperanza  dell’obbligo contributivo), deve ritenersi mancante l’elemento soggettivo dell’inosservanza, in quanto la  stessa grava sul datore di lavoro e il lavoratore, confidando legittimamente nel comportamento altrui, può  non essere a conoscenza di tale omissione da parte del datore di lavoro. Ne discende che non possono farsi  ricadere sul lavoratore gli inadempimenti del datore di lavoro sia in relazione all’obbligo dichiarativo che alla  stessa esecuzione della prestazione. Il mancato versamento degli obblighi previdenziali costituisce d’altro  canto un comportamento inadempiente a taluni obblighi di legge, ma non è idoneo a rendere privo il rapporto  di lavoro di qualsiasi efficacia giuridica, purché sussista un contratto, l’assunzione sia avvenuta regolarmente  e sussistano gli altri requisiti di rilevanza giuridica dell’atto. L’inadempimento del datore di lavoro al  pagamento degli oneri contributivi, pertanto, non può tradursi in una causa idonea a modificare in peius il  punteggio da attribuire al lavoratore ovvero ad escluderlo da una procedura concorsuale” (sent. 146/2020).

Conclusioni

Dunque, in caso di contestazione da parte di un’istituzione scolastica dell’effettivo svolgimento del servizio per mancanza dei contributi previdenziali, vi consigliamo di interpellare immediatamente un avvocato, esperto in diritto del lavoro, al fine di valutare la possibilità di proporre ricorso onde evitare qualsiasi genere di abuso da parte dell’amministrazione.

Questo articolo è stato scritto a mero scopo informativo e non può essere inteso in nessun modo quale parere legale.

Articolo a cura del Dott. Stefano Longo

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